In un articolo uscito sul Sole 24ore dal titolo “Leadership: perché le giovani leve dicono no?” Giovanna Prina, pone in luce una tendenza che pare stia prendendo sempre più piede nel panorama aziendale italiano.
Responsabili aziendali lamentano la scarsa motivazione dei giovani verso l’assunzione di ruoli da leader.
Si ritrovano, sempre più spesso, a sentirsi rifiutare un avanzamento di carriera verticale per la preferenza verso una carriera orizzontale o un percorso che massimizzi le competenze tecniche.
I giovani sembrano rinunciare a ruoli manageriali perché convinti che rimanendo fuori dalla luce dei riflettori la loro possibilità di apprendere sarà maggiore e sarà loro concesso di fare domande, sbagliare, chiedere aiuto o consiglio senza rischiare di perdere il proprio posto di lavoro.
Meglio essere un follower capace che un leader sostituibile.
Perché partecipare a progetti interessanti, iniziative di valore sotto la pressione costante del prendere decisioni o gestire una squadra, quando lo si può fare concentrandosi sul proprio lavoro e sullo svolgere le attività assegnate in modo efficace?
Inoltre, perché rinunciare a lavorare con gli altri in modo collaborativo e coeso per un ruolo di leader distaccato, impegnato a gestire le ambivalenze tra aspetti sociali e professionali?
Sicuramente la situazione fa riflettere.
Ci comunica come negli anni la cultura manageriale non si sia ancora sufficientemente evoluta.
Come le soft skill siano ancora ben lontane dall’essere diffuse in azienda e percepite come essenziali.
I Responsabili aziendali, che rimangono sorpresi dall’atteggiamento dei giovani, non si rendono ancora conto che il loro comportamento è il risultato di un sistema manageriale arretrato.
Un sistema in cui l’assunzione di un ruolo di leader segna spesso ancora il confine tra il ricevere e il puro e semplice dare e non sbagliare.
Anziché percepire il ruolo di leader come un ruolo che porta ad una ulteriore crescita personale e professionale, i giovani lo percepiscono come il punto di non ritorno. Che lascia solo spazio ad una responsabilità senza libertà, in cui anche una sola scelta sbagliata potrebbe portare al tracollo.
La criticità è alla base
Dobbiamo cambiare il nostro punto di vista. Iniziare a guardare questi giovani come persone che si sentono libere di scegliere. Vanno sostenuti nel loro tentativo di assumersi la responsabilità delle proprie decisioni, aiutati a diventare unici protagonisti e proprietari della propria crescita personale e professionale.
I giovani dovrebbero essere liberi, liberi di decidere quando, e in che termini, tracciare il loro percorso professionale. Senza imposizioni, senza fretta.
Liberi di decidere quando, e se, un giorno diventare leader in un ambiente più inclusivo, in cui si sarà capito che un salto economico non deve essere per forza un salto nel buio.
Il punto di vista del coach
Da coach vogliamo essere ottimisti. Vogliamo cogliere il lato evolutivo di questa tendenza.
La vediamo come un punto di partenza verso nuove opportunità e prospettive.
I giovani stanno iniziando a trovare da soli le proprie risposte senza seguire la direzione standard di successo che si è affermata negli anni.
Sembra che i giovani oggi cerchino l’apprendimento, il confronto, l’inclusione, l’affermazione della loro diversità e unicità.
Un coach o un buon leader può aiutare questi giovani a valutare le proprie scelte.
Aiutarli a capirne la bontà e le motivazioni alla base.
Accompagnarli attraverso un percorso che li porti a comprendere se siano veramente convinti di non voler assumere un ruolo di leader o se, semplicemente, questa determinazione sia mossa dalla paura di uscire dalla propria zona di comfort e affrontare dei rischi non calcolati.
Forse non tutti i nostri giovani sono pronti a caricarsi di nuove e più grandi responsabilità, vanno guidati verso la comprensione dei benefici, in termini di crescita personale, che farlo potrebbe portare loro.
Conclusioni
Ciò su cui noi adulti dobbiamo interrogarci è sul come i giovani vengano educati al mondo del lavoro.
Lo facciamo nel modo giusto? In quale anello della catena educativa è opportuno intervenire?
Siamo sicuri che siano i giovani i veri follower o piuttosto lo siano un management e una cultura aziendale in cui si spende più tempo a riorganizzare, cercare un capro espiatorio o licenziare per ogni calo di produttività, piuttosto che a formare, ascoltare e cercare una soluzione?
Voi che cosa ne pensate?