Il linguaggio aziendale a volte usa metafore unidirezionali: andare avanti dritti come treni, lasciando anche morti e feriti alle spalle, pressare, afferrare l’osso, saltare sul carro, ecc. Nella corsa ai risultati, spesso ci si dimentica che si ha a che fare con persone, non meccanici esseri umani.
Ricordo un manager che dava ai suoi collaboratori solo feedback negativi “Quando le cose vanno bene, perché perdere tempo a parlare di cose inutili? I risultati ci sono e si vedono”, diceva. Guarda caso, dopo un po’ di tempo a questa persona nel suo assessment aziendale è emerso che avrebbe dovuto curare maggiormente le relazioni con il suo team.
Nella sua squadra le persone andavano avanti, ma doveva trascinarle, risultavano piuttosto demotivate. Lui tendeva inizialmente a colpevolizzarle: “Non si muovono, non si danno da fare, chissà a che pensano”. In effetti non sapeva nulla dei loro pensieri, si era reso conto che se c’era un’area migliorabile riguardava proprio il livello della conoscenza di queste persone e delle sue modalità relazionali. “Mi dicono che non sono empatico… , ma cos’è veramente quest’empatia di cui tutti parlano?”.
La sua prima mossa, la più semplice, è stata quella di mettersi nei panni degli altri, però bisognava anche conoscere chi c’era dentro quei panni. Ha cominciato ad osservare e valutare non solo i risultati asettici del lavoro, ma anche i loro artefici. Ha alzato lo sguardo per vedere come lavoravano le persone, quali modalità usavano, ha cercato di comprendere il loro punto di vista, di ascoltarli.
Nelle occasioni informali, come lo spazio caffè, la mensa, o gli incontri casuali sui mezzi pubblici, cercava, anzi, si imponeva di non toccare il tema del lavoro, ma di parlare di hobby, vacanze, figli, famiglia, si metteva in ascolto con curiosità. E nei meeting, mentre si discuteva di aspetti lavorativi, si permetteva, anzi programmava, dei piccoli momenti di stacco in cui ciascuno liberamente poteva esprimere le proprie opinioni o le proprie idee.
Il suo atteggiamento si era trasformato da giudicante ad accogliente, valutava naturalmente il suo team, riconoscendo però in modo esplicito gli aspetti apprezzabili, non solo sul piano professionale ma anche umano. E suoi feedback migliorativi erano ricchi di spunti costruttivi.
E a distanza di tempo qualcuno gli ha detto che era diventato un capo empatico e carismatico.
Giovanna Giuffredi
Tratto da: Coaching Time