Immaginate di camminare nella savana, mentre attraversate una distesa assolata. A un tratto una macchia di arbusti vi regala finalmente un po’ d’ombra. Riprendete a respirare a pieni polmoni, vi state rilassando e asciugando il sudore, quando all’improvviso alle vostre spalle un ruggito vi gela il sangue! La gola si secca all’improvviso, il cuore batte all’impazzata, i muscoli si irrigidiscono, pronti a farvi scattare in cerca di salvezza.
Cosa vi permette di cercare una via di scampo? La consapevolezza della paura. Quando abbiamo paura, temiamo qualcuno o qualcosa, possiamo paralizzarci aspettandoci di essere sbranati o agire per salvarci. Ma verso quale direzione? Il primo passo è riconoscere la paura, valorizzarla, ascoltandola per coglierne il messaggio che è veicolato dalla parte più primitiva del nostro cervello rettile e che ha lo scopo di preservarci, di proteggerci.
Ma spesso il senso di questo stato d’animo è temuto, frainteso, tanto da provocare forti stati ansiosi o crisi di panico, dovuti a un a focus decentrato, come davanti a un colloquio o a un esame.
L’attenzione in questi casi è tutta sull’esaminatore, sul timore del suo giudizio, piuttosto che sui contenuti che si vuole trasmettere e sulla consapevolezza della propria preparazione. Forse la paura sta solo indicando che una parte del programma va approfondita o che bisogna pianificare meglio i tempi dello studio.
Ogni qualvolta il focus è su qualcosa al di fuori del nostro controllo e responsabilità, può scaturire una reazione abnorme. Se la mente si focalizza sulle fauci del leone, il corpo si paralizza, ma se punta l’attenzione alla più vicina e rapida via di scampo, si ha la possibilità di salvarsi.
Ci sono persone che temono la “diversità”, il loro focus è probabilmente sulla paura di perdere privilegi e sicurezze, piuttosto che sul valore dell’apprendimento che potrebbe derivare dall’integrazione di punti di vista diversi. Nel primo caso vivranno situazioni conflittuali di tensione, nel secondo un confronto aperto e sereno.
E quando si ha paura di parlare, di esprimere un pensiero? Il focus potrebbe essere sul giudizio dell’interlocutore, piuttosto che sul senso del messaggio che si vuole trasmettere.
La paura può essere depotenziante o un attivatore fortemente potenziante, un sistema di allerta con il quale allearci, purchè si impari a decifrarne il messaggio protettivo.
Jung riconduceva la paura del nuovo e dello sconosciuto a un archetipo che chiamava misoneismo, comune a tutti i popoli, che rappresenta la tendenza omeostatica a lasciare tutto così come è. Di contro a questo statico freno interiore, Jung riconosceva anche un altro archetipo, quello dell’Eroe, dell’iniziatore di viaggi ed esplorazioni, motore di ogni scoperta e spinta evolutiva. Sta a noi scegliere come trovare il giusto equilibrio tra le due forze interiori.
Soltanto una cosa rende impossibile un sogno: la paura di fallire (Paulo Coelho)
Giovanna Giuffredi
Tratto da: Coaching Time